 |
Apr 17, 2025 -
Tra poche ore, Giorgia Meloni incontra Donald Trump ed è giusto che sia accompagnata dalla
solidarietà di tutti coloro che credono fermamente nei valori dell’Europa e della sua unificazione
politica.
Quello che è opportuno attenderci dal suo colloquio con il Presidente degli Stati Uniti riguarda sì
i dazi, pur senza assecondare l’involuzione “commerciale” delle relazioni internazionali che Trump
pretende di imporre.
Ma il punto è politico. Non altro.
Concerne le relazioni che pur non possono mancare, tra le due sponde dell’Atlantico, la nuova forma
che sono destinate ad assumere e che, fin d’ora, va messa alla prova dell’aggressione russa all’
Ucraina.
E, a maggior ragione, concerne la consonanza o meno tra Europa e Stati Uniti circa la concezione,
fin qui condivisa, dei valori di libertà, giustizia e democrazia che devono presiedere alla vita ed
alla crescita, non solo materiale, delle rispettive comunità.
Si attende l’esito dell’incontro nello Studio Ovale come se si trattasse della sfida olimpica tra
due squadre necessariamente contrapposte.
E forse questa attesa non rende giustizia a Giorgia Meloni che vincerà la sfida solo se saprà dire,
anche con il tono ruvido che non le manca, che l’Italia sta, in ogni caso ed a pieno titolo, in
Europa e con l’Europa, impegnata in prima fila – del resto, è uno dei Paesi fondatori – a
perseguirne, senza titubanze, la piena unità politica.
Trump metta in conto che, comunque, l’Europa intende raggiungere una sua sovranità da far pesare
negli equilibri mondiali.
Non ci sono, nel fronte europeo, rime di frattura che, per quanto appena accennate, valga la pena di
provare ad ampliare. E, in ogni caso, non passano dall’Italia.
Se Giorgia Meloni otterrà questo risultato avrà ottemperato al meglio al vero “interesse nazionale”
ed aperto, per la prima volta, uno spiraglio di possibile condivisione tra maggioranza ed
opposizione.
Non sarebbe poco. Peraltro, l’incontro di questa sera si pone in una cornice più ampia che va
compresa e tenuta ben presente. Le ragioni per cui – come sostiene Ursula von der Leyen –
l’Occidente addirittura non esisterebbe più, almeno nelle forme secondo cui l’abbiamo conosciuto fin
qui, è dovuto solo a Trump oppure costui è, lo sappia o meno, il prodotto di processi che covano da
tempo e nella sua figura sghemba hanno trovato il punto privilegiato per venire espressamente alla
luce?
Vi sono almeno tre versanti da esplorare. Anzitutto, la progressiva declinazione tecnocratica del
potere che va incontro ad una trasformazione che tende ad emarginare i poteri “istituzionali” come
sono comunemente intesi nella tradizione democratica, appunto, dell’Occidente.
In secondo luogo – correlativamente al punto di cui sopra – le democrazie, espressione del discorso
pubblico in cui prende forma la “sovranità popolare “, apparentemente, almeno nel tempo dell’
accelerazione che stiamo attraversando, segnano il passo in quanto ad efficace e tempestiva capacità
di governo, rispetto a poteri che, più o meno, siano comunque incardinati su un principio di
autorità.
In terzo luogo – lo ammettano o meno i grandi attori della scena internazionale – non torneremo ad
Alta. Ci stiamo inoltrando ineluttabilmente verso un multilateralismo che, in ogni caso, in termini
temporali più o meno ristretti, finirà per affermare la sua legittimità, nella misura in cui è
pertinente al momento in cui ci troviamo.
Un multilateralismo che, ove lo sapesse leggere con un’intelligenza rivolta ai tempi lunghi del
decorso della storia, potrebbe essere il terreno su cui l’Europa possa investire il patrimonio di
civiltà che è andata da secoli e secoli accumulando.
Traendone, senza cadere in nessuna utopia, un indirizzo ispirato, piuttosto che alle ragioni della
potenza, ad una dimensione etica, declinata secondo principi che possano essere asseverati in un
quadro rinnovato e potenziato di “istituzioni” globali.
Per Europa Federale
Domenico Galbiati
|