 |
Chi sceglie di protestare all’estero deve assumersi le conseguenze delle proprie azioni.
La vicenda di Ilaria Salis è diventata ormai un caso politico europeo.
Da un lato, c’è l’attivista diventata eurodeputata, che si presenta come vittima di un processo
“farsa” orchestrato da un governo autoritario.
Dall’altro, c’è la dura realtà dei fatti: una persona che ha scelto consapevolmente di recarsi in
Ungheria, Paese che lei stessa definisce ostile e governato da un regime di estrema destra, per
partecipare a proteste culminate in violenze contro militanti e scontri con la polizia.
Ora, con la sua immunità parlamentare in bilico a Bruxelles, il dibattito si concentra solo sulla
legittimità della giustizia ungherese.
Ma un punto essenziale rischia di passare in secondo piano: chi decide di andare a manifestare in un
Paese straniero, soprattutto se noto per il pugno di ferro contro il dissenso, sa bene a cosa va
incontro.
E deve essere pronto ad assumersene la piena responsabilità.
La revoca dell’immunità, chiesta dal Partito popolare europeo, verrà votata martedì 23 settembre in
commissione Affari legali del Parlamento europeo.
Se passerà, la decisione finale approderà in plenaria il 7 ottobre.
Salis rischia fino a 24 anni di carcere per le accuse di aggressione a tre militanti di estrema
destra durante una manifestazione a Budapest nel 2023.
Un’accusa grave, che l’ha già portata a trascorrere oltre 15 mesi dietro le sbarre, prima della
scarcerazione grazie all’elezione con Alleanza Verdi e Sinistra.
Le sue parole – “la revoca della mia immunità non significherebbe giustizia, ma un processo-farsa
orchestrato da un Paese sempre più oppressivo” – trovano ascolto tra chi denuncia lo smantellamento
dello Stato di diritto in Ungheria.
Ma la domanda che molti cittadini si pongono resta semplice: se si sapeva che l’Ungheria era ostile
e repressiva, perché andarci?
Perché rischiare lo scontro?
Non era forse più saggio restare in Italia e combattere battaglie politiche in un contesto
democratico?
Il portavoce di Orban, Zoltan Kovacs, ha rincarato la dose pubblicando sui social le coordinate del
carcere di Márianosztra, in quello che appare come un gesto intimidatorio.
Ma, al di là delle provocazioni, il messaggio è chiaro: in Ungheria non ci sarà alcuno sconto per
chi viene accusato di violenze, nemmeno se eurodeputata.
Questa vicenda deve servire da monito: la protesta è un diritto, ma non un lasciapassare per
l’impunità.
Chi sceglie di sfidare regimi autoritari fuori dai confini italiani lo fa a proprio rischio e
pericolo.
Pretendere protezione a posteriori significa scaricare sulle istituzioni europee la responsabilità
di azioni che restano personali.
Se l’Europa vuole difendere lo Stato di diritto, lo faccia senza trasformare l’immunità parlamentare
in uno scudo contro ogni conseguenza.
La coerenza e la responsabilità dovrebbero valere anche per chi indossa la fascia di eurodeputato.
Il presidente di Europa Federale
Trej Giuseppe
Io penso che, se l’immunità non venisse revocata, il progetto europeo perderebbe credibilità e
autorevolezza.
Non ci sarebbe più un’Europa coerente, ma un’Europa che si piega alle convenienze politiche.
|