 |
La Global Sumud Flotilla, presentata come simbolo di solidarietà internazionale verso Gaza, sta
mostrando crepe sempre più evidenti.
Nonostante proclami altisonanti e una narrazione eroica, la missione appare oggi come una barca che
imbarca più polemiche che speranza.
Greta Thunberg cambia rotta
Il passo indietro di Greta Thunberg dal comitato direttivo ha fatto rumore. L’attivista
svedese, icona globale della mobilitazione giovanile, ha lasciato la nave “Family” per trasferirsi
sulla “Alma”, segno tangibile di un dissenso interno.
Le motivazioni ufficiali parlano di divergenze sulla “strategia comunicativa”, ma è difficile non
leggere tra le righe una certa insofferenza verso una gestione che sembra più interessata a mettere
in scena se stessa che a parlare di Palestina.
Thunberg ha dichiarato: “Il mio ruolo sarà come partecipante, non nel comitato direttivo”.
Una frase che, nella sua sobrietà, suona come una sentenza.
Una manifestazione che scivola nel grottesco.
La Flotilla, nata con l’intento di rompere il blocco navale israeliano e portare aiuti umanitari, si
è trasformata in un palcoscenico di tensioni, espulsioni e accuse reciproche.
L’allontanamento della giornalista Francesca Del Vecchio, le dimissioni di Yusuf Omar e le polemiche
con Il Manifesto dipingono un quadro tutt’altro che coeso.
Tony La Piccirella, attivista a bordo, ha accusato il quotidiano di “destabilizzare l’opinione
pubblica”.
Ma quando la destabilizzazione nasce dall’interno, è difficile puntare il dito altrove.
Organizzazione alla deriva.
Che la direzione della Flotilla fosse in mano a esponenti di PD, M5S, AVS e altri gruppi della
sinistra parlamentare non è un dettaglio trascurabile. L’illusione di una missione apartitica si
infrange contro la realtà di una gestione che sembra più attenta al posizionamento mediatico che
alla coerenza politica.
E da certi ambienti, francamente, non ci si poteva aspettare molto di meglio.
Una nave che naviga a vista.
La Flotilla continua a muoversi, almeno formalmente.
Ma la rotta è incerta, il timone traballa e l’equipaggio si divide.
Il rischio è che, anziché portare aiuti a Gaza, si finisca per consegnare all’opinione pubblica
l’ennesimo esempio di attivismo autoreferenziale, dove l’ego supera l’impegno e la causa diventa
cornice di un teatrino tragicomico.
Giuseppe Trej
|