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DI DOMENICO GALBIATI
Apr 19, 2025 - 07:55:56 - CEST
Va riconosciuto che sostanzialmente Giorgia Meloni, di fronte a Trump, ha tenuto il punto in ordine
all’ Europa.
Non ha, ovviamente, preteso di rappresentarla, né di intromettersi nella questione dei dazi che
istituzionalmente compete all’Unione e non ai singoli paesi.
Non ha chiesto la mancia, né avrebbe potuto accettarla ove mai gli fosse stata offerta.
Anzi, l’uno e l’altra sono stati molto attenti a non mettersi reciprocamente in imbarazzo,
coltivando un clima di famiglia diretto a preservare e mostrare la comune appartenenza politica.
Il dato, evidentemente, su cui entrambi investono, secondo una prospettiva di medio-lungo termine,
che va oltre le dispute, pur rilevanti, del momento.
A Trump preme che tra i più importanti Paesi dell’ Unione Europea ve ne sia uno con cui condividere
una parternship ideale, se così si può dire.
Anche l’ isolazionismo protezionista – pur nutrito da una persistente opzione egemonica ed
imperialista – altro non è se non, in definitiva, nelle forme colà possibili, una forma di
nazionalismo.
Ed altrettanto preme alla nostra Presidente del Consiglio non porsi in palese contraddizione con la
storica ed obbligata vocazione europea dell’Italia e, nel contempo – come su queste pagine è già
stato osservato – lasciarsi, un po’ per volta, assorbire dall’ onda trumpiana, quasi si trattasse
non di una scelta deliberata, ma, in definitiva, di un percorso necessariamente coerente all’
evoluzione dei rapporti di forza a livello internazionale.
Nell’ottica di quella competizione sino-americana che pretende, almeno secondo Trump, che ci si
schieri apertamente.
Meloni ha ottenuto che Trump venga a Roma, senza escludere che, nell’occasione, possa incontrare i
leader europei.
Nulla di sostanziale – Trump ha ribadito che vuole accordarsi con tutti, ma gli accordi intende
farli a modo suo – ma, in ogni caso, Giorgia Meloni ha messo il piede tra lo stipite e la porta per
evitare che venisse ancora una volta sbattuta in faccia all’ Europa, conservando, al contrario, uno
spiraglio di dialogo.
Onestamente non poteva fare di più. Ma neppure di meno.
Ad ogni modo, ha tenuto il punto anche a proposito della consonanza politica – e qualcosa di più, si
potrebbe dire “ideologica” – con Trump e con il movimento eufemisticamente detto “conservatore”, in
effetti, sovranista, con le inferenze nazionaliste o populiste che ne derivano, per ogni dove del
mondo.
Ha lisciato per il verso del pelo la dottrina MAGA che ispira Trump, affermando che intende
concorrere a rendere più grande anche quell’Occidente che Ursula von der Leyen, troppo
precipitosamente, ritiene defunto una volta per tutte.
Ma è soprattutto quella definizione che Giorgia Meloni dà di sé stessa, qualificandosi come
“nazionalista dell’ Occidente” che merita di essere approfondita.
Infatti, per quanto non appaia immediatamente di facile comprensione, sembra rappresentare la
sottile chiave di volta dell’effettivo pensiero e dell’ indirizzo strategico di Giorgia Meloni.
Per Europa Federale
Domenico Galbiati
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