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23 maggio 2025 Demografia e redditi mettono
a rischio la tenuta dell’Italia



May 23, 2025 -

Il Rapporto annuale dell’Istat rappresenta un’occasione per riflettere sullo stato di salute del nostro Paese.

La relazione svolta dal Presidente Francesco Maria Chelli offre una lettura sintetica dei 4 capitoli del rapporto (andamento economico, trasformazioni demografiche, differenze intergenerazionali, impatto dei cambiamenti economici e sociali sulle caratteristiche della popolazione) con l’ausilio di una notevole mole di analisi e di informazioni che delineano le caratteristiche strutturali della nostra comunità nazionale e la loro proiezione sul medio e lungo periodo.

Il ciclo espansivo della nostra economia dopo la pandemia Covid-19, che ha consentito di superare i livelli della produzione del febbraio 2020, prosegue a rilento (+0,7%) in linea con la media europea.

L’impatto negativo sugli scambi commerciali generato dalle crisi di natura geopolitica è stato compensato dal positivo andamento dei consumi delle famiglie (+0,6%) supportati dalla crescita del numero degli occupati e dal parziale recupero della perdita del potere d’acquisto dei salari rispetto ai tassi di inflazione registrati nell’ultimo triennio dovuto al rinnovo dei contratti collettivi.

Nonostante ciò, i salari reali dei lavoratori dipendenti rimangono ancora distanti rispetto al valore del 2021 .

La crescita degli occupati – +450 mila nel primo trimestre del 2025 rispetto all’analogo periodo del 2024 – consente di raggiungere il record storico del numero assoluto delle persone che lavorano (24,9 milioni) e del tasso di occupazione (63%). Aumentano in misura maggiore gli occupati a tempo indeterminato e la quota di quelli a tempo pieno.

Nonostante le buone performance, il nostro tasso di occupazione rimane distante dalla media dei Paesi europei (-8,7%) per effetto degli squilibri interni relativi alle caratteristiche di genere (-17,8% delle donne rispetto agli uomini) e di territorio (-20,4% nel Mezzogiorno rispetto al Nord Italia).

Rimane rilevante anche la quota dei posti di lavoro più vulnerabili per un terzo dei giovani occupati e per un quarto delle donne che lavorano.

La crescita dell’occupazione con tassi superiori a quelli del Pil comporta, in negativo, una riduzione della produttività del lavoro (-0,9%) e di quella di tutti i fattori (-1,3%).

Entrambe motivate dallo scarso utilizzo delle tecnologie digitali in molti dei settori dei servizi e nelle piccole e micro imprese che hanno contribuito in modo significativo alla crescita dei posti di lavoro.

Un dato negativo che viene associato anche alla quota ridotta della domanda di lavoro rivolta ai giovani laureati.

Migliorano i livelli di istruzione della popolazione (la quota dei laureati e dei diplomati, le competenze cognitive e digitali), ma in ogni campo i numeri rimangono distanti dalle medie dei Paesi sviluppati.

Un’analisi longitudinale sull’andamento delle carriere lavorative di 29 milioni di lavoratori tra il 2011 e il 2022 conferma l’importanza delle doti formative per la finalità di migliorare le dinamiche salariali e le condizioni di lavoro, in particolare se associata alle caratteristiche territoriali (Centro e Nord) e settoriali (industria e Pubblica amministrazione).

La qualità e l’intensità del ricambio generazionale risulta complementare all’utilizzo delle nuove tecnologie e delle professioni tecnico scientifiche.

Il rapporto dedica una parte rilevante delle analisi alle tendenze demografiche e al loro impatto sull’economia e sulle relazioni intergenerazionali.

Dopo 11 anni di riduzione della popolazione, il numero delle persone residenti (circa 59 milioni) rimane sostanzialmente inalterato grazie al saldo migratorio positivo degli immigrati provenienti da altri Paesi di origine che compensa l’esodo dei nostri connazionali verso l’estero (190 mila) e il saldo naturale negativo tra i decessi e le nuove nascite.

Queste ultime segnano l’ennesimo record negativo, 370 mila (-200 mila rispetto al 2008).

Nel mentre, l’aspettativa di vita ritorna sui livelli precedenti alla pandemia Covid-19 Il potenziale contributo alla crescita della popolazione residente legato all’aumento del numero dei nuovi nati risulta compromesso da tre fattori: la riduzione demografica delle donne fertili, il cambiamento degli stili di vita e la progressiva destrutturazione dei nuclei familiari stabili.

Si riduce il numero delle coppie con almeno un figlio (28,2%), e aumenta l’incidenza sul totale (41%) dei nuclei monocomposti, con un solo genitore, di coppie non coniugate.

Cresce in modo esponenziale anche la quota degli anziani soli con più di 65 anni destinata a superare i 6 milioni nell’arco dei prossimi 15 anni.

L’impatto della demografia produce effetti rilevanti sulla produzione e sulla distribuzione del reddito. Si riducono i livelli di solidarietà familiare, aumenta il numero delle famiglie vulnerabili e delle persone che riscontrano difficoltà ad accedere ai servizi indispensabili.

La longevità della popolazione comporta inevitabilmente anche quello delle persone non autosufficienti e della spesa pubblica e familiare da destinare al lavoro di cura.

Nonostante il vertiginoso incremento della spesa pubblica assistenziale, è aumentato in parallelo anche il numero delle persone in condizioni di povertà assoluta (5,7 milioni).

Nel mercato del lavoro è in corso di esaurimento il contributo produttivo offerto dalle generazioni del baby boom.

La gran parte di loro è destinata ad aumentare il numero dei pensionati nei prossimi anni con tassi di uscita superiori al numero dei giovani in uscita dai percorsi scolastici.

Nel contempo il sistema delle imprese fatica a trovare lavoratori disponibili.

La relazione del Presidente dell’Istat evita accuratamente di esprimere valutazioni sulla congruità dei singoli provvedimenti legislativi.

Tuttavia, l’aumento delle criticità che rischiano di compromettere la tenuta del tessuto produttivo e dei livelli di coesione sociale rendono evidente anche la carenza di programmi riformatori in grado di mobilitare le risorse finanziarie e i comportamenti degli attori istituzionali, sociali e delle famiglie per garantire la sostenibilità della produzione e della redistribuzione del reddito.

Le analisi dell’Istat mettono in evidenza anche le combinazioni virtuose tra gli investimenti nelle tecnologie, nelle competenze dei lavoratori, e della crescita conseguente della produttività delle organizzazioni del lavoro, che possono contribuire alla generazione di risposte positive.

L’impatto delle dinamiche demografiche sull’economia e sulla spesa sociale ha faticato a entrare nel dibattito politico.

In generale, continua a essere considerato dalla stragrande maggioranza della classe dirigente politica come un insieme di problematiche proiettate sul lungo periodo e da affidare come una sorta di promemoria per i Governi futuri.

Gli interventi riformatori risultano limitati alle misure tampone che producono effetti (scarsi) sul breve periodo, mentre le conseguenze destabilizzanti della demografia e delle tecnologie digitali sulla popolazione in età di lavoro procedono con una velocità largamente superiore aĺla capacità degli attori istituzionali, economici e sociali di offrire risposte adeguate.

Per migliorare l’utilizzo delle risorse finanziarie e per riposizionare il nostro modello di sviluppo servono politiche coerenti, ma l’impiego delle tecnologie, l’adeguamento delle competenze delle risorse umane e delle organizzazioni del lavoro, l’aumento della produttività per alimentare la crescita dei redditi da lavoro richiedono il concorso attivo degli imprenditori, dei manager, dei lavoratori e delle loro rappresentanze.

Le rivendicazioni di interventi della spesa pubblica per sostenere i redditi delle persone, delle famiglie e delle imprese negli ultimi 18 anni caratterizzati da due grandi crisi economiche hanno dirottato centinaia di miliardi di risorse pubbliche verso impegni non produttivi oltre ogni ragionevole limite.

Sono politiche e comportamenti incompatibili con l’esigenza di focalizzare la difesa degli interessi nazionali nel contesto della ricostruzione degli scambi internazionali e dei livelli di coesione sociale della nostra comunità nazionale.


Per Europa Federale
Marco Fumagalli
Tratto da; politicamente insieme
Natale Forlani



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